I cibi al tempo di Eschilo a Gela: 459 – 456 a.C.

Diceva Thomas Eliot (Nobel nel 1948) che la cultura è ciò che rende la vita degna di essere vissuta e l’alimentazione rappresenta una delle forme della cultura.

Gli antichi Greci fissavano come regole di vita il “conosci te stesso”.

Conoscere ciò che mangiamo, la storia di un alimento, l’ideazione di un determinato piatto sono modi, certo non meno nobili, per conoscere noi stessi e il mondo che ci circonda.

La cultura gastronomica dei Greci si fondava su tre prodotti fondamentali: il grano, il vino e l’olio, elementi base di un modello di consumo “mediterraneo” che rappresentava non semplicemente una scelta alimentare, ma un vero e proprio segno di appartenenza, un simbolo dell’identità greca. Essere Greci significava anzitutto coltivare quei prodotti  e “barbari” venivano definiti quei prodotti che vivevano d’altro (caccia, pastorizia).

Tre divinità: Demetra, Dionisio e Atena avevano la specifica funzione di proteggere i tre prodotti, di garantire la fertilità della terra e il buon esito dei raccolti, di assistere gli uomini nell’opera di trasformazione del grado in pane, dell’uva in vino, delle olive in olio.

Una complessa serie si rituali presiedeva a queste operazioni. Il giuramento dei fedeltà alla patria era, per gli Ateniesi, anche la presa di coscienza di un’identità alimentare fondata sulla coltivazione della terra e degli alberi.

“Prometto di onorare le armi che porto, di obbedire ai magistrati e alle leggi, di rispettare il culto dei miei padri” recitava ogni giovane giuto all’età adulta nel sacro tempio di Agraulo.

Infine, il solenne giuramento chiamava a testimoni le divinità, I confini della patria, l’orzo, le vigne, I fichi, gli olivi.

Su queste piante, su questi cibi, su questi valori alimentari si costruì la cultura gastronomica della Grecia.

I concittadini di Eschilo erano mattinieri, si alzavano al sorgere del sole e consumavano l’Acrotimos cioè la prima colazione che consisteva in pane, vino, qualche oliva e qualche frutto, generalmente fichi.

Poco dopo mezzogiorno di faceva uno spuntino chiamato Ariston, poi, a pomeriggio inoltrato seguiva l’hesperina, qualcosa da mangiare in piedi o mentre si lavorava.

L’unico pasto veramente importante aveva inizio al cale del sole, il deipnon.

In particolari occasioni c’era il simposio, una vera cena solenne con invitati, musica e attrazioni. Tutto ciò specialmente ad Atene, a Sparta si mangiava invece male e in ambienti squallidi.

Esisteva inoltre una netta distinzione fra il “nutrirsi”e “pranzare”.

Per il nutrimento erano sufficienti la moglie e il servo di casa, ma per un pranzo con ospiti era d’obbligo il cuoco che si poteva ingaggiare a giornata.

Il Symposion, come ce lo descriverà Platone iniziava con una coppa di vino aromatizzato, una specie di aperitivo chiamato Propoma. Poi venivano servite le prima portate di carne e pesci arrostiti o bolliti e di legumi.

Degli schiavi giravano con vassoi di frutta secca e mandorle tostate, altri con dolci al miele, pasticcini ai semi di sesamo e frittelle di ogni genere. Per aumentare il consumo di vino, crostacei fritti, polpettine di maiale, olive e formaggi salati.

I cuochi a giornata venivano ingaggiati, da chi ne aveva bisogno, nell’agorà, la piazza. Nata non appena sorsero le prime comunità di uomini, essa si sviluppò in fretta divenendo il centro delle attività degli abitanti con la funzione preminente della contrattazione e dello scambio.

E’ anche il luogo principale della socializzazione che, ad Atene, si contrappone anche “fisicamente” all’acropoli che sta in alto ed è quasi un luogo separato.

Nell’agorà di Atene arriva gente da tutte le parti e con gusti diversi: ad esempio la gente che proviene da Rodi come “propoma” preferirà una tazza di vino caldo odoroso di pesce con dentro una seppia mentre gli abitanti di Bisanzio con molto aglio e una presa di anice.

Certamente il nutrimento fondamentale per il popolo restava il pane. I mulini per ricavare la farina venivano azionati da schiavi o da animali come asini e cavalli.

Il più celebre testo della gastronomia greca antica intitolato Edipateia ossia “la buona vita” è un’opera di un siciliano: Archestrato di Gela che lo compose intorno al 300 a. C.. Si tratta di un poema in versi che assume l’aspetto di una guida gastronomica. Purtroppo è andato perduto: solo trecento versi in tutto sono stati riportati in un’altra opera: I Deipnosofisti di Ateneo che raccoglie citazioni di molti versi oggi scomparsi.

Secondo Ateneo in Grecia si contavano 72 tipi di pane, chiari e scuri, salati e insipidi, con lievito e senza lievito, di una sola farina o di più farine, cotti al forno o tra le ceneri.

E poi, pani conditi e farciti, al miele, alle uvette, ai fichi secchi, alle olive.

Assai popolare era la maza, una specie di schiacciata preparata con la farina d’orzo tostato. D’orzo era pure il pane quotidiano della maggior parte dei greci, nelle annate difficili si mescolava a prodotti più poveri come il miglio, il panico, I legumi. Il frumento era invece riservato al pane di lusso detto artos.

La cucina greca si basava anche molto sui legumi, in particolare fave, ceci e lenticchie.

Le fave avevano la fama di cibo robusto e corroborante: qualcuno diceva che Ercole fosse stato allevato a fave. Si consumavano intere condite con pezzetti di lardo, più spesso in forma di purea (etnos).

Anche la zuppa di lenticchie era un piatto tipico di quella cucina, qualcuno addirittura come il commediografo Aristofane, la riteneva la più ghiotta delle pietanze.

Per I Greci il dolce, espresso quasi esclusivamente dal miele o dai surrogati più economici come una specie di pate di fichi secchi o sciroppi concentrati di frutta molto matura, è un sapore che non pone problemi nella preparazione del menù. Per loro, infatti, il concetto di dessert non era ancora nato, anzi vi sono piatti di carne, pesce e cacciagione insaporiti col miele anche mescolato a salse come il garum. Per fare questa salsa si alternano strati di pesce azzurro (sgombri e sardine) e strati di erbe aromatiche (santoreggia, aneto, menta) aggiungendo su ciascuno strato molto sale e pressandoli bene. Nel giro di qualche giorno si raccoglieva sul fondo un liquido color bruno chiaro che si conservava per un lunghissimo tempo e si prestava a condire ogni tipo di pietanza. Una salsa dal sapore delicato da usare in piccolissime quantità, a gocce, anche al posto del sale.

Qualcosa di simile alla salsa di acciughe o forse alla Worcester sauce, ma per farsene un’idea più precisa basta pensare a una salsa tuttora usata nelle cucine dell’Est asiatico. In Vietnam è chiamata nuocmam e viene aggiunta, come si faceva con il garum, a moltissimi piatti di quella cucina.

Come altre pietanze tipiche dell’epoca possiamo ricordare una specie di bomboloni con farina di grano saraceno, olio e miele che si chiamavano encris.

Il dispyrus era invece un dolce al miele che si intingeva nel vino e si mangiava caldo, il trion una specie di torta al miele farcita con uva e mandorle che veniva servita in foglie di fico. In molte ricette si impiegavano anche formaggi molli e poco fermentati così come oggi si usa la panna. Un’altra pietanza, il thryon, veniva confezionata con uova, farina, formaggio, grasso, miele e fatto lessare similmente all’odierno pudding inglese.

Come può notarsi da quanto scritto, la preparazione di molti piatti attuali trova il suo fondamento in queste pietanze di un’epoca così lontana forse perché, oggi che ni tutti tendiamo ad un consumo più consapevole, quei prodotti semplici ci appaiono più genuini.

La raccolta delle olive

L’olio di oliva era molto ricercato perché non serviva soltanto come prodotto alimentare; era usato anche per l’illuminazione, per la cura e la bellezza del corpo e la Grecia ne esportava in grande quantità.

LA RACCOLTA DELLE OLIVE

Il volto di una statua di Atena – L’ulivo era sacro ad Atena

Narra il mito che quando sorse la città di Atene, due divinità, Poseidone ed Atena, gareggiano per decidere chi loro due avrebbe dato il suo nome alla città. Stabilirono che avrebbe vinto chi avesse offerto il dono più bello e più utile a quei cittadini. Allora Poseidone fece sorgere da una grossa onda del mare il cavallo, strumento di guerra; Atena invece fece sorgere dalla terra brulla l’ulivo, fecondo di frutti e simbolo di pace e di ricchezza.
Così vinse Atena, che diede il suo nome alla città e ne divenne la protettrice. Per questo, l’ulivo era sacro ad Atena, ed una legge della Costituzione Ateniese così stabiliva: “se qualcuno avrà sradicato o abbattuto un ulivo, sia di proprietà dell Stato sia di proprietà privata, sarà giudicato dal tribunale, e se sarà riconosciuto colpevole, verrà punito con la pena di morte”.

STATUA DI ATENA

La pesatura del Silfio

Nella scena dipinta su una coppa del VI secolo a. C. si vede il re di Cirene che controlla la pesatura del silfio, una pianta coltivata in Africa e molto apprezzata in Grecia. Il succo del silfio era usato sia nella preparazione dei cibi che in quella delle medicine ed era fonte di grandi ricchezze. Le parole scritte indicano i pesi che i servi addetti all’operazione gridano man mano, prima che il silfio sia trasportato nella stiva di una nave.

Demetra (o terra-madre)

Donatrice dei cereali agli uomini, con la figlia Persefone, Dea della fertilità della terra e sposa del Dio sotterraneo signore dei morti entrambe hanno in mano un fungo. Le due Dee erano particolarmente venerate in Attica (scultura del V secolo a.C.)

DEMETRA

Ricostruzione in pianta di una casa greca, anteriore al IV secolo

Da notare la distribuzione degli ambienti e, in particolare, la camera da letto, in diretta comunicazione con la stalla.

PIANTA DI UNA CASA GRECA

Un tronetto utilizzato nelle occasioni importanti

Letto con spalliera, sul quale erano sistemati vari cuscini per potervisi appoggiare con il braccio.

Coppa laconica: girotondo di pesci

Taranto, Museo Nazionale

COPPA LACONICA: GIROTONDO DI PESCI